sabato 23 aprile 2011

HO SETE! ....DI RISORGERE!



Giovedì Santo e Venerdì Santo, Ultima Cena, Lavanda dei piedi e Via Crucis, tutto per donare il perdono. Più di 2000 anni è la storia dei cristiani e degli uomini è sempre la stessa, sentirsi perdonati, amati, chiamati a pentirsi per tutto l'opposto del messaggio che Cristo ha tramandato, e che quasi senza accorgercene ogni non rispettiamo. Si guarda con occhi apparentemente aperti, presi da tanti gesti ammirevoli, ma che scavando nelle profondità della propria interiorità sono vuoti. Crediamo in qualcosa che non abbiamo visto, ma che dovremmo sentire, e non sentire a modo nostro. Cristo ha manifestato e detto frasi precise. Dobbiamo togliere tutto l'io che non solo a volte può anche piacerci, ma alla lunga attanaglia. 
In questi giorni ci si sente talmente pieni di umano che non se ne può più. Tentiamo di camminare per sfiorare il divino, ripulendo la strada che abbiamo intrapreso. Siamo proprio da svuotare. Certo la paura non solo dell'altro, del diverso, ma soprattutto del vicino, del passato che si continua a rimpiangere, di tutto quello che lega al terreno in questi giorni non serve menzionarlo ed è proprio ieri, oggi che ancor più diventano nemici insormontabili da abbattere. L'arma dello Spirito nelle nostre mani è così ininfluente, la nostra fede, la nostra intelligenza sono ferme. Occorre che lo Spirito muovi Cristo che noi cristiani portiamo dentro di noi, ma proprio perchè non lo vediamo lo modelliamo come desideriamo.
Allora Cristo, insegnaci non solo a pregare...ma...ad amare come è giusto amare, a cambiare vita,  a staccarci  dall'egoismo assurdo che ci acceca, insegnaci a risogere come si dovrebbe da veri cristiani!

Noi, cristiani, abbiamo ancora paura....

Cari amici,
piove sempre sul bagnato! Cosa intendo dire? Nello scorso editoriale mi lamentavo con voi dell’assoluta indifferenza che sembrava adombrare noi cristiani in merito alle ultime vicende belliche che hanno interessato la Libia.
Non abbiamo ancora risvegliato le nostre coscienze sulla meschina intenzionalità di questi attacchi che un'altra problematica viene a scuoterci e a disturbare i nostri “già affannati” menage quotidiani: gli sbarchi di migliaia di esuli che affollano le coste siciliane ed ora i nostri centri di detenzione.
Prima di spiegarvi l’affermazione, permettetemi di oggettivizzare i fatti.
Se Abubaker, Hassan, Dag o le altre migliaia di persone – perché di persone si tratta, con un nome ed un volto – hanno lasciato le loro patrie per avventurarsi nei viaggi della speranza, un motivo ci sarà. Del resto, non è colpa loro se i paesi da cui fuggono sono governati da despota con la mania dell’imperialismo o da fantocci corrotti e corruttibili che altro non sono se non maschere di interessi economici a favore dei paesi industrializzati quali l’Italia.
E noi, meridionali, questo discorso dovremmo capirlo abbastanza, dato che i nostri figli hanno prospettive di lavoro solo se si trasferiscono più al nord di Roma o espatriano nei meno sfruttanti paesi dell’Europa o del mondo. Voglio dire, se la vita dignitosa la vogliamo noi perché dovremmo impedire che la desiderino anche quelli che stanno peggio di noi?
Ora, il problema qual è? In attesa che il nostro ministro dell’Interno risolva le questioni burocratiche con la Francia e la Comunità Europea, quei nomi e quei volti che potrebbero essere quelli dei nostri figli e dei nostri nipoti, sono costretti ad essere reclusi nei famosi Centri di Identificazione ed Espulsione (C.I.E.) o Centri di Accoglienza Richiedenti Asilo (C.A.R.A.) i quali, stando alle testimonianze di quei pochissimi che sono riusciti ad entrarvi, non sono preferibili neanche alle nostre prigioni.
Oltre che essere letteralmente rinchiusi in un’area recintata, gli ospiti di questi centri sono pattugliati dai militari dell’esercito (attualmente a Bari presta servizio il Battaglione San Marco…), in condizioni igieniche precarissime e con un vitto che farebbe passare la voglia di mangiare anche ad un bulimico.
Dai presìdi che spesso si appostano fuori dei C.I.E. o dei C.A.R.A. sappiamo che molti ospiti sono spesso oggetto di violenza da parte delle forze dell’ordine, vengono loro negate medicine e cure sanitarie e tanti di loro che non parlano italiano, per far capire a quali condizioni di vita sono sottoposti, pronunciano il nome “Guantanamo”.
Amici, questi nostri figli e nipoti sono a pochi chilometri di distanza da noi e per quanto le istituzioni competenti ci vietano l’ingresso e ogni forma di assistenza per questi uomini, non possiamo trascorrere una Pasqua serena sapendo delle loro vicende, perché il vero significato umano e religioso delle feste che stiamo celebrando è quello della dignità della vita umana.
Cristo ha versato il suo sangue – e tutto il suo sangue – per riscattare l’umanità preda del peccato e delle sue conseguenze negative; la salvezza prima di essere una condizione teologica è un benessere esistenziale, è la salute dell’anima e del corpo.
Come possiamo accostarci alla Comunione eucaristica che è il sacramento del mistero pasquale sapendo che per tanti esseri umani il passaggio dalla morte alla vita non si è ancora realizzato? E quale comunione di vita ci può essere tra noi e Dio e tra noi e gli altri uomini, a qualunque fede essi appartengano, se noi siamo al sicuro nelle nostre case e adagiati nei nostri comfort  e altri alle porte di casa nostra sono privati non solo degli affetti umani più cari ma anche di tutto ciò che rende la vita umana dignitosa e meritevole di essere vissuta?
E nessuno osi pensare che questa vita loro se la sono scelta, perché la scelta per essere veramente libera deve prevedere due o più opportunità di uguale misura a livello di bene, cosa che non credo si realizzi in situazioni nelle quali spesso è a rischio la stessa tutela della vita.
Ormai la Quaresima è finita e non è più tempo di digiuni e penitenze, ma non dimentichiamo l’esortazione rivoltaci da Dio per mezzo del profeta Isaia: «Piegare come un giunco il proprio capo,
usare sacco e cenere per letto,
forse questo vorresti chiamare digiuno
e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: 
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere
il pane con l'affamato,
nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire chi è nudo,
senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente?
Allora la tua luce sorgerà come l'aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà» (Is 58).
Con l’impegno a vivere il tempo di Pasqua in piena fedeltà alle promesse battesimali, amare Dio e amare il prossimo come Gesù ci ha insegnato, rivolgo a tutti, anche a nome dei miei confratelli don Mario e don Dass, sinceri auguri di buona Pasqua!  

Don Benedetto cpps