A Bari, con don Dario Viganò si discutono le nuove frontiere della comunicazione cattolica
La
buona comunicazione: una sfida possibile... anzi necessaria
di Paola Canniello
Lo scorso venerdì 12 aprile
presso la chiesa di S.Ferdinando si è svolto l’incontro dal titolo ”La buona
comunicazione“ promosso dalla Libreria San Paolo di
Bari e dall’UCSI Puglia, al quale hanno partecipato don Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo
Vaticano ed autore del libro “Il Vaticano II e la comunicazione”; Enzo Quarto,
presidente dell’UCSI Puglia, e Maria Luisa Sgobba del Consiglio Nazionale
dell’UCSI.
La
presentazione del libro di don Viganò ha offerto lo spunto per riflettere su
come la Chiesa, proprio a partire dal Concilio Vaticano II, ha affrontato il
tema della comunicazione e sull’evoluzione degli stessi strumenti di comunicazione
di massa ovvero i mass media.
Secondo
don Dario Viganò, il Concilio Vaticano II è stato un momento di
grande spiritualità, ma anche di innovazione perché per la prima volta
attraverso le immagini la Chiesa è uscita fuori dai propri confini; è stato un
segno di un cambiamento profondo di cui peraltro all’epoca non era facile
valutarne la portata per una Chiesa che fino ad allora era abituata a ragionare
solo all’interno delle proprie mura e si è invece resa conto di dover interpretare
i segni provenienti dal mondo esterno (pubblicità, cinematografia..) e di
fronte ai quali si è trovata inizialmente impreparata. Da allora ci sono stati
cambiamenti enormi di natura antropologica ed è inevitabile chiedersi come il
messaggio di Cristo possa avere valore nel mondo attuale e soprattutto come
attualizzare il linguaggio per renderlo più incisivo. In poche parole: come
possiamo comunicare la parola di Cristo? A tale proposito don Dario Viganò ha
sottolineato che ciò che sta avvenendo con papa Francesco, ovvero questa
straordinaria apertura alla gente comune, è dovuta al fatto che le sue parole
hanno il peso specifico della vita: la grammatica dell’amore che non by-passa
la croce (al contrario di quanto avvenne per Paolo quando pronunciò il suo
famoso discorso all’aeropago concentrandosi sull’annuncio della risurrezione
omettendo quello della croce e i suoi uditori preferirono andarsene..) e la
forza della testimonianza che attraversa il dolore.
Secondo don Viganò, per
realizzare tutto questo è necessario fare un passo in avanti importante cioè
liberarsi delle sovrastrutture intellettuali con le quali siamo abituati a
inquadrare Dio e il suo modo di agire: il nostro Dio è un Dio del paradosso che
promette una nazione numerosa ad un uomo, Abramo, la cui moglie è sterile e che
il cui Figlio giunge alla gloria solo attraverso la strada dolorosa della croce
e che in poche parole mette insieme la fragilità dell’uomo con la grandezza di
Dio e che per rivelarsi sceglie la strada dell’incarnazione.
Per sottolineare la novità
del concilio don Viganò ha continuato dicendo che Giovanni XIII non affidò la
preparazione del concilio al Sant’uffizio bensì alla Segreteria di Stato che
raccolse le relazioni delle chiese locali e le rispettive situazioni concrete
(economia, politica..etc) lasciando che ciascuno dei partecipanti esprimesse
liberamente i propri problemi senza schemi predefiniti; in particolare vennero
fuori diciotto documenti che riguardavano la comunicazione e, sebbene possano
sembrare pochi, furono sufficienti per mettere in seria difficoltà i vescovi al
punto che alcuni “colleghi” distribuirono alcuni volantini ai cardinali che si
riunivano nel concilio affinchè ponessero il non placet al documento conciliare
che riguardava il tema della comunicazione (siamo nel ’64…) e che senza dubbio
ebbe il merito di porre all’interno del concilio il tema della comunicazione (basti
pensare che all’inizio del Concilio gli abbonati Rai erano 3 mln e alla fine
erano raddoppiati).
Altro segno? Alla fine del
concilio Papa Paolo VI non convocò i giornalisti in Vaticano come si fa di
solito, ma andò lui stesso sul loro posto di lavoro tra macchine da scrivere e
rotative per incontrarli proprio perché lui stesso conosceva molto bene il
lavoro dei giornalisti essendo lui stesso figlio di un giornalista (il padre
dirigeva il quotidiano cattolico Il cittadino di Brescia).
Cosa vuol dire questo? Recentemente
è stato sollevato un interrogativo riguardo a come sia stato comunicato il
concilio dai giornalisti e lo stesso papa emerito Benedetto XVI ha sottolineato
che è stato piuttosto riduttivo parlare solo del dualismo tra conservatori e
progressisti. La ricetta? Spiegare di più per comprendere meglio: se da una
parte ci deve essere necessariamente la capacità di raccontare sempre meglio
ciò che accade, dall’altra non può mancare altresì la volontà di capire senza
categorie preconcette. Oltre alla presentazione del libro, l’incontro è servito anche a far conoscere meglio
il laboratorio della buona notizia, un’idea nata dall’UCSI per trasmettere la
competenza degli strumenti e la passione il mestiere del giornalismo alle nuove
generazioni e provare a metterle al servizio del Vangelo: piccoli inviati che
raccontano dal loro punto di vista gli avvenimenti recandosi sul posto cercando
di trasmettere la gioia e la bellezza della verità come ha invitato a fare fin
dal primo istante papa Francesco. E forse è questa davvero la nuova sfida della
Chiesa: cambiare il suo stile senza rinnegare la verità ma cercando di
incontrare le persone nella loro quotidianità sull’esempio di Gesù che ha
iniziato la sua vita pubblica a cafarnao dove si incrociavano le carovane o a
cui bastava trovarsi in casa della
suocera di un amico (Pietro) per incontrare quanti lo cercavano.
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