giovedì 18 aprile 2013

Fede e comunicazione


A Bari, con don Dario Viganò si discutono le nuove frontiere della comunicazione cattolica
La buona comunicazione: una sfida possibile... anzi necessaria


di Paola Canniello

Lo scorso venerdì 12 aprile presso la chiesa di S.Ferdinando si è svolto l’incontro dal titolo ”La buona comunicazione“ promosso dalla Libreria San Paolo di Bari e dall’UCSI Puglia, al quale hanno partecipato don Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano ed autore del libro “Il Vaticano II e la comunicazione”; Enzo Quarto, presidente dell’UCSI Puglia, e Maria Luisa Sgobba del Consiglio Nazionale dell’UCSI.
La presentazione del libro di don Viganò ha offerto lo spunto per riflettere su come la Chiesa, proprio a partire dal Concilio Vaticano II, ha affrontato il tema della comunicazione e sull’evoluzione degli stessi strumenti di comunicazione di massa ovvero i mass media.
Secondo don Dario Viganò, il Concilio Vaticano II è stato un momento di grande spiritualità, ma anche di innovazione perché per la prima volta attraverso le immagini la Chiesa è uscita fuori dai propri confini; è stato un segno di un cambiamento profondo di cui peraltro all’epoca non era facile valutarne la portata per una Chiesa che fino ad allora era abituata a ragionare solo all’interno delle proprie mura e si è invece resa conto di dover interpretare i segni provenienti dal mondo esterno (pubblicità, cinematografia..) e di fronte ai quali si è trovata inizialmente impreparata. Da allora ci sono stati cambiamenti enormi di natura antropologica ed è inevitabile chiedersi come il messaggio di Cristo possa avere valore nel mondo attuale e soprattutto come attualizzare il linguaggio per renderlo più incisivo. In poche parole: come possiamo comunicare la parola di Cristo? A tale proposito don Dario Viganò ha sottolineato che ciò che sta avvenendo con papa Francesco, ovvero questa straordinaria apertura alla gente comune, è dovuta al fatto che le sue parole hanno il peso specifico della vita: la grammatica dell’amore che non by-passa la croce (al contrario di quanto avvenne per Paolo quando pronunciò il suo famoso discorso all’aeropago concentrandosi sull’annuncio della risurrezione omettendo quello della croce e i suoi uditori preferirono andarsene..) e la forza della testimonianza che attraversa il dolore.
Secondo don Viganò, per realizzare tutto questo è necessario fare un passo in avanti importante cioè liberarsi delle sovrastrutture intellettuali con le quali siamo abituati a inquadrare Dio e il suo modo di agire: il nostro Dio è un Dio del paradosso che promette una nazione numerosa ad un uomo, Abramo, la cui moglie è sterile e che il cui Figlio giunge alla gloria solo attraverso la strada dolorosa della croce e che in poche parole mette insieme la fragilità dell’uomo con la grandezza di Dio e che per rivelarsi sceglie la strada dell’incarnazione.
Per sottolineare la novità del concilio don Viganò ha continuato dicendo che Giovanni XIII non affidò la preparazione del concilio al Sant’uffizio bensì alla Segreteria di Stato che raccolse le relazioni delle chiese locali e le rispettive situazioni concrete (economia, politica..etc) lasciando che ciascuno dei partecipanti esprimesse liberamente i propri problemi senza schemi predefiniti; in particolare vennero fuori diciotto documenti che riguardavano la comunicazione e, sebbene possano sembrare pochi, furono sufficienti per mettere in seria difficoltà i vescovi al punto che alcuni “colleghi” distribuirono alcuni volantini ai cardinali che si riunivano nel concilio affinchè ponessero il non placet al documento conciliare che riguardava il tema della comunicazione (siamo nel ’64…) e che senza dubbio ebbe il merito di porre all’interno del concilio il tema della comunicazione (basti pensare che all’inizio del Concilio gli abbonati Rai erano 3 mln e alla fine erano raddoppiati).
Altro segno? Alla fine del concilio Papa Paolo VI non convocò i giornalisti in Vaticano come si fa di solito, ma andò lui stesso sul loro posto di lavoro tra macchine da scrivere e rotative per incontrarli proprio perché lui stesso conosceva molto bene il lavoro dei giornalisti essendo lui stesso figlio di un giornalista (il padre dirigeva il quotidiano cattolico Il cittadino di Brescia).
Cosa vuol dire questo? Recentemente è stato sollevato un interrogativo riguardo a come sia stato comunicato il concilio dai giornalisti e lo stesso papa emerito Benedetto XVI ha sottolineato che è stato piuttosto riduttivo parlare solo del dualismo tra conservatori e progressisti. La ricetta? Spiegare di più per comprendere meglio: se da una parte ci deve essere necessariamente la capacità di raccontare sempre meglio ciò che accade, dall’altra non può mancare altresì la volontà di capire senza categorie preconcette. Oltre alla presentazione del libro,  l’incontro è servito anche a far conoscere meglio il laboratorio della buona notizia, un’idea nata dall’UCSI per trasmettere la competenza degli strumenti e la passione il mestiere del giornalismo alle nuove generazioni e provare a metterle al servizio del Vangelo: piccoli inviati che raccontano dal loro punto di vista gli avvenimenti recandosi sul posto cercando di trasmettere la gioia e la bellezza della verità come ha invitato a fare fin dal primo istante papa Francesco. E forse è questa davvero la nuova sfida della Chiesa: cambiare il suo stile senza rinnegare la verità ma cercando di incontrare le persone nella loro quotidianità sull’esempio di Gesù che ha iniziato la sua vita pubblica a cafarnao dove si incrociavano le carovane o a cui  bastava trovarsi in casa della suocera di un amico (Pietro) per incontrare quanti lo cercavano.

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