Zero
Zero Zero: meno male che Saviano c’è
di Paola Canniello
Stessa (o quasi) folla di
pubblico attentissimo (circa 500 persone all’interno della libreria e un
centinaio forse all’esterno a seguire la diretta dal maxi schermo e stesse (o
quasi) imponenti misure di sicurezza (“ringrazio la democrazia che difende in
ogni modo la propria libertà di espressione…”) per la presentazione del nuovo
libro di Saviano Zero Zero Zero presso la libreria Feltrinelli giovedì 18
aprile alle 21. E come sempre Saviano lascia il segno nel bene e nel male, ma meno male che c’è. Dopo
aver raccontato con spietata sincerità la guerra di camorra a Scampìa (che gli
è costata la rinuncia ad una vita normale in cambio della scorta a cui ha
dedicato questo libro dato che “ormai trascorrono più tempo con me che con le loro
famiglie”) stavolta la droga anzi la cocaina non solo come consumo diventato
ormai trasversale, ma soprattutto dal punto di vista della diffusione del
contrabbando e ne viene fuori un libro senza sconti come sempre e da lui stesso
definito “globale” come è appunto diventata la commercializzazione della coca.

Come? Saviano osserva come
sia bastato applicare le norme anti terrorismo alle indagini per il riciclaggio
per far venire le banche allo scoperto basandosi su un presupposto molto
semplice: basta il minimo sospetto di riciclaggio di denaro sporco da parte
della polizia per bloccare una qualsiasi attività salvo poi risarcirla per il
periodo di mancata attività se il sospetto si rivela infondato ed è bastato
questo per “costringere” le banche ad uscire allo scoperto pur di non
affrontare un processo. Tuttavia, fa notare amaramente Saviano, tutto questo
nel dibattito nazionale non conta e la maggior parte delle volte si perde
troppo tempo ad ascoltare i talk show dei politici piuttosto che concentrarsi
sull’analisi dei loro veri programmi che risultano trasversalmente carenti da
questo punto di vista se non fosse per un generico riferimento alla legalità e
alla lotta alla mafia in occasione di qualche arresto eccellente e nulla più. A
questo punto l’intervento di Saviano si fa ancora più interessante in quanto
afferma che per mettere in atto un vero
corpo a corpo con le organizzazioni malavitose e quindi con ogni specie di
traffico illegale a cui fanno riferimento non basta fornire alle istituzioni
gli strumenti giuridici economici e politici adeguati e al passo con i tempi
(non a caso infatti i paesi più emergenti diventano vere e proprie miniere per
il riciclaggio in quanto hanno regole meno severe) ma bisogna combattere la
cultura anzi la contro cultura che esse portano avanti cambiando atteggiamento
nella vita quotidiana: durante un processo è stato appurato che anni fa un boss
fece un discorso ai suoi nel quale affermava con assoluta certezza che se hai i
soldi sei, se non ce li hai non sei e che le leggi esistono solo per chi non sa
comandare ed è giusto solo quello che è frutto delle tue azioni in quanto tu e
tu soltanto puoi decidere ciò che è davvero necessario e che il potere ha il
suo prezzo (vale a dire il carcere e la morte) al punto che guardano con
sufficienza i politici giudicandoli incapaci di assumersi le proprie
responsabilità e facilmente corruttibili; di fronte ad un tale attacco frontale
l’unica risposta sembra quella suggerita dalle parole di don Tonino Bello: ”Non
è il momento di consolare gli afflitti ma di affliggere i consolati” cioè di
scomodarsi a far venire fuori attraverso la letteratura ciò che abbiamo sotto
gli occhi affinchè possano finalmente avere il peso specifico della vita reale
e non rimangano cose astratte e più di qualcuno possa finalmente “perdere
tempo” ad approfondire producendo un movimento culturale inverso di chi si pone
domande e non si accontenta di ascoltare superficialmente le notizie
illudendosi di conoscere il mondo ma finalmente dominarlo con la propria
intelligenza e senso critico in quanto, come ha detto Saviano citando Danilo
Dolci “ciascuno cresce non se sogna ma se è sognato” cioè fa parte di un
progetto positivo di felicità malgrado le difficoltà non bisogna aver paura
perché “l’erba calpestata diventa sempre un sentiero”.